C’è una frase antica che sembra venire dal cuore stesso del tempo e che, nonostante i secoli trascorsi, parla ancora a noi con una freschezza sorprendente. Si trova nella celebre Tavola di Smeraldo attribuita a Ermete Trismegisto, il leggendario saggio che univa in sé filosofia e magia, mito e sapienza. Dice così: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto.” Una formula apparentemente enigmatica, che però racchiude un principio essenziale: ciò che è dentro di noi si riflette fuori e ciò che vediamo fuori è lo specchio di ciò che portiamo dentro. È un’idea che attraversa il tempo, un concetto esoterico che può sembrare distante ma che in realtà ci riguarda da vicino, ogni singolo giorno. Gli antichi parlavano di microcosmo e macrocosmo, di uomo e universo in perfetta corrispondenza, di leggi che regolano le stelle e che al tempo stesso muovono il nostro cuore. Oggi potremmo dirlo in maniera più quotidiana: il nostro stato d’animo condiziona il modo in cui vediamo il mondo. Se siamo sereni, anche la pioggia ci sembra una colonna sonora romantica; se siamo nervosi, persino il canto degli uccelli diventa un rumore insopportabile. Non serve scomodare il cosmo intero: basta osservare come le nostre emozioni plasmano la percezione della realtà. E qui entra in gioco un esempio che, forse, Ermete non avrebbe mai previsto ma che rende perfettamente l’idea. Apriamo il frigorifero. Sì, proprio lui, il grande oracolo domestico. Se dentro il frigo c’è ordine, colori, alimenti freschi e pronti all’uso, molto probabilmente anche la nostra mente è più serena, come se quell’ordine interiore ed esteriore si rispecchiassero. Se invece ci troviamo davanti a una mozzarella abbandonata, qualche lattuga appassita e bottiglie mezze vuote, ecco che il mondo esterno sembra improvvisamente più caotico. Il frigorifero diventa così una parabola moderna della Tavola di Smeraldo: ciò che è dentro è anche fuori. Non è filosofia spicciola, è vita quotidiana condita di un sorriso. Lo stesso principio lo possiamo osservare nel nostro rapporto con il digitale. Ciò che mettiamo dentro i nostri profili social – foto, like, pensieri – si riflette fuori nell’immagine che gli altri costruiscono di noi. Un gesto minuscolo, come un like, diventa un frammento di noi stessi reso pubblico. E ciò che vediamo nel feed non è casuale: riflette e amplifica le nostre scelte, i nostri interessi, persino le nostre paure. È come se Ermete avesse già intuito i social network: “ciò che è dentro” finirà inevitabilmente “fuori”, trasformato in pixel, notifiche e percezioni collettive. Questo non significa che dobbiamo diventare ossessivi o controllare ogni pensiero. Anzi, significa piuttosto che conviene prenderci cura del nostro mondo interiore. Perché se coltiviamo fiducia, curiosità e armonia, inevitabilmente anche ciò che ci circonda si colorerà di quella stessa energia. E vale anche il contrario: frequentare persone che ci stimolano, cercare ambienti sani, scegliere con cura cosa lasciamo entrare nella nostra vita, influisce sul nostro equilibrio interno. È un gioco di riflessi, un’eco continua: dentro e fuori si richiamano, si amplificano, si modellano a vicenda. Alla fine, questo antico principio ermetico ci ricorda che nulla è davvero separato. Non lo siamo dall’universo, non lo siamo dagli altri, non lo siamo neppure da quel disordine che ogni tanto ci portiamo dentro. Siamo tessere di uno stesso mosaico, frammenti collegati da fili invisibili che ci uniscono a qualcosa di più grande. E il bello è che non bisogna credere ciecamente all’esoterismo per sentirlo vero: basta guardarsi intorno e osservare come la vita funzioni sempre per specchi e risonanze. Così, la prossima volta che apriremo il frigorifero, il cuore o la home di un social network, potremo sorridere al pensiero che ciò che vediamo lì fuori, in fondo, è un riflesso di ciò che accade dentro di noi. E se dentro c’è un po’ di disordine, poco male: fuori ci sarà comunque un tramonto, una musica o una risata pronta a riequilibrare la giornata. È questa la vera alchimia che attraversa i secoli: imparare a dialogare con i nostri specchi, interni ed esterni, con un po’ di coscienza in più e con la leggerezza di chi sa ridere anche davanti a una mozzarella dimenticata.
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