C’è una frase che ha il potere di evocare immagini potenti, inquietanti, quasi mitologiche: il tumulto degli empi. Ma chi sono questi empi? E perché tumultuano? In un mondo che corre veloce, dove tutto viene semplificato in bianco e nero, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, è facile pensare che gli “empi” siano semplicemente “quelli dall’altra parte”. Ma l’empio, nella sua essenza, è qualcosa di più sottile. È colui che vive fuori da un ordine: divino, morale, sociale, psicologico. È il trasgressore, ma anche il ribelle. È l’inquieto. È l’uomo (o la donna) che rompe l’armonia. E quando gli empi si uniscono… ecco il tumulto. Un tumulto che può prendere molte forme. E in questo articolo, lo seguiremo come si seguirebbe il fumo di un incendio sotterraneo: attraverso psicologia, religione, società ed esoterismo, cercando di capire cosa si agita davvero sotto la superficie. Ogni essere umano porta dentro di sé un piccolo tumulto. Lo psicologo Carl Gustav Jung parlava di ombra: quella parte di noi che reprimiamo, che nascondiamo perché non conforme, non accettata, magari anche pericolosa. Gli empi, da un punto di vista psicologico, sono coloro che vivono dentro l’ombra, che vi si abbandonano o, peggio, la fanno esplodere nel mondo. Nel mondo moderno, il tumulto interiore si manifesta in tanti modi: ansia, rabbia, isolamento, sfiducia. Quando queste emozioni si accumulano senza sfogo, si trasformano in comportamenti distruttivi. La folla inferocita dei social, gli haters, i complottisti aggressivi, i negazionisti della realtà sono sintomi di un disagio più profondo. Non sono solo “altri”. Sono il riflesso di una crisi dell’io. Nella Bibbia, gli empi sono figure centrali. Non semplicemente peccatori, ma coloro che si oppongono alla volontà divina. Il libro dei Salmi li descrive come instabili, violenti, disordinati. Il loro tumulto è la manifestazione di una ribellione cosmica: contro Dio, contro l’ordine naturale, contro la giustizia. Anche nell’Islam troviamo questa distinzione: fāsiq, il perverso, colui che rompe il patto. E nel buddismo? Gli “empi” non sono demonizzati, ma rappresentano l’attaccamento e l’ignoranza, che creano caos nella mente e nella società. Ma attenzione: nella visione religiosa, il tumulto degli empi non è solo un disastro. È anche un passaggio obbligato per il risveglio dei giusti. Dove c’è tumulto, c’è crisi. Dove c’è crisi, c’è scelta. Nell’esoterismo occidentale – che affonda le radici nell’ermetismo, nella cabala, nell’alchimia – il caos non è il male. Anzi, è il principio della trasformazione. Il tumulto degli empi diventa così una prova alchemica: attraversare il disordine per ritrovare l’ordine superiore. Nella fase della nigredo, tutto si decompone, si oscura. Le certezze crollano, le maschere cadono. Gli empi non sono solo i “cattivi”: sono gli aspetti del nostro ego che devono essere trascesi. Persino nei Tarocchi, il Bagatto e la Torre raccontano questa tensione tra caos e rinascita. Il tumulto, dunque, non è la fine, ma il varco. Una soglia. Viviamo in un’epoca di tumulto perenne. Politico, economico, culturale, climatico. Le certezze cadono come tessere di un domino. In questo contesto, gli empi moderni sono spesso incoronati eroi o influencer, perché la società ha invertito i valori: la trasgressione è premiata, il silenzio è sospetto, la complessità è un difetto. Il tumulto degli empi si manifesta nei talk show, nei feed di Instagram, nelle piazze virtuali. Il linguaggio si fa violento, il pensiero si polarizza. Nessuno ascolta, tutti urlano. E nel rumore collettivo, la saggezza tace. La domanda non è: “Come fermare il tumulto?”
La vera domanda è: “Come attraversarlo senza esserne travolti?” Il tumulto degli empi può distruggere, ma anche rivelare. Può separare, ma anche purificare. Dipende da cosa scegliamo di fare con quel caos. Se lo ignoriamo, ci divorerà. Se lo affrontiamo, può diventare un insegnante crudele ma sincero. Alla fine, gli empi non sono sempre altri. Spesso abitano anche in noi. In ogni scelta meschina, in ogni paura non affrontata, in ogni volta che preferiamo il disordine al dialogo, l’urlo alla riflessione. Ma sapere che esistono – e riconoscerli – è già un passo. Il tumulto, allora, diventa il segnale di un risveglio possibile, un invito a guardare oltre l’apparenza, a ricostruire sulle macerie. Perché dopo ogni tumulto, c’è un silenzio. E in quel silenzio, possiamo – se vogliamo – ricominciare.
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