C’era un tempo in cui la vita aveva un passo diverso.
Non migliore o peggiore, semplicemente diverso.
Era fatta di attese, di piccoli riti quotidiani, di cose che oggi sembrerebbero lente, perfino scomode, ma che allora erano il sapore stesso dei nostri giorni. Ve lo ricordate quando, finite le vacanze, si portava il rullino dal fotografo e si aspettava una settimana per vedere le foto? Quella busta di carta lucida custodiva sorrisi, tramonti e gaffe fotografiche con lo stesso valore di un tesoro. E quando le foto venivano male… pazienza. Anzi, diventavano ricordi ancora più veri. Ma non c’erano solo i rullini. C’era il profumo del pane appena sfornato dal forno sotto casa, quando la commessa ti chiedeva “crosta chiara o crosta scura?” e tu ti sentivi già a casa. C’era il biglietto dell’autobus cartaceo che bucavi con una piccola pinza obliteratrice, e che a fine giornata restava accartocciato in tasca, testimone di spostamenti e incontri. C’era la cassetta delle lettere che non era un buco nero di bollette, ma un forziere di cartoline colorate con frasi scritte di pugno e una calligrafia riconoscibile. C’era la radio che, la sera, trasmetteva dediche e canzoni per chi amava in silenzio o a distanza, e tu stavi lì, con l’orecchio incollato, sperando di sentire il tuo nome. E poi i negozi di dischi. Entri, sfogli le copertine, leggi i testi sul retro, e magari ne compri uno solo, perché costava sacrifici. Lo ascolti dieci, venti, cento volte, finché le canzoni diventano parte di te. Oggi puoi avere tutto in streaming, ma proprio per questo a volte non ti resta niente. Ve lo ricordate quando si telefonava da una cabina? Le monete sudate tra le dita, il rumore metallico che segnava il tempo della chiamata. E le chiamate a casa dell’amico, quando rispondeva il padre e tu, con un filo di voce, chiedevi: “Posso parlare con…?”. Non c’erano messaggi istantanei, e proprio per questo ogni conversazione era un evento. Anche il sabato pomeriggio aveva un sapore speciale: le vie del centro piene di gente, le vetrine illuminate, l’appuntamento “alle cinque in piazza” che non aveva bisogno di GPS. Ci si trovava e basta, perché c’era fiducia. E se qualcuno ritardava, non era un dramma: era parte del gioco. C’erano le estati lunghe e rumorose, con le biciclette appoggiate ai muretti e le granite che ti ghiacciavano i denti. C’erano i giochi in cortile, i tornei di pallone con le porte segnate da due maglioni. Non c’erano telefoni a distrarre, solo la fantasia. E quando tua madre ti chiamava dalla finestra, la voce si sentiva in tutto il quartiere. E i cinema di paese? L’odore di poltrone in velluto, il biglietto di carta strappato a metà, le luci che si abbassavano lentamente. Oggi scegli un film con un clic e, se non ti piace, lo cambi. Ma allora, anche un film mediocre diventava un’avventura da ricordare. Ve lo ricordate il rumore del modem a 56k? Quella melodia gracchiante che oggi farebbe sorridere, ma che allora era la porta d’accesso a un mondo nuovo. Navigare significava attendere, e ogni pagina che si apriva era una conquista. Anche le feste avevano un’altra luce: compleanni in casa, torte fatte a mano, candele spente con un soffio e applausi veri, non emoticon. C’era il regalo scelto con cura, non ordinato all’ultimo minuto con un click. Il tempo non era scandito dalle notifiche, ma dai campanili, dai rumori della strada, dal vociare dei vicini. Si usciva di casa senza la paura di “perdere qualcosa online” e si tornava con storie da raccontare, non con foto da postare. Sì, il mondo è cambiato. Ci ha regalato comodità impensabili, ci ha tolto alcune fatiche, ma anche qualche magia. Forse è per questo che chi ha superato gli “anta” si sorprende, ogni tanto, a sorridere ricordando. Non per rifiutare il presente, ma per riconoscere che in quella lentezza c’era una bellezza che oggi, tra un aggiornamento e una connessione veloce, rischiamo di dimenticare. Ve lo ricordate? Forse sì. E forse, proprio oggi, vale la pena ogni tanto di spegnere lo schermo, chiudere gli occhi e lasciar riaffiorare quei suoni, quei profumi, quelle immagini. Perché certe cose non hanno bisogno di essere fotografate o registrate. Hanno solo bisogno di essere custodite nel cuore.
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