“Decipit frons prima multos”, recita il latino: “La prima impressione spesso inganna”. Un proverbio antico quanto l’uomo, che oggi potremmo tranquillamente tradurre con un più popolare “non è tutto oro quel che luccica”. Quando nel nostro cammino karmico incontriamo una persona per la prima volta, ciò che colpisce immediatamente è l’aspetto esteriore: altezza, corporatura, abbigliamento, atteggiamento, modo di parlare, gestualità. È come sfogliare la copertina di un libro e decidere subito se ci piace o meno, senza nemmeno arrivare all’indice. Ma la vita non è un supermercato di bestseller in offerta: dietro ogni volto c’è un mondo, e molto spesso quel mondo non corrisponde all’etichetta che ci siamo affrettati ad appiccicare addosso a qualcuno. Quando impariamo a conoscere davvero una persona, andando oltre i lineamenti e i vestiti, entriamo in contatto con la sua interiorità. È lì che si apre il sipario della personalità, il luogo dove scopriamo ciò che la rende unica, diversa, irripetibile. L’aspetto esteriore, insomma, non è che la punta dell’iceberg: sotto, molto più in profondità, giace l’enorme massa che racconta davvero chi siamo. Il problema è che noi esseri umani siamo pigri. Il giudizio rapido ci sembra comodo, quasi rassicurante: decidiamo in un istante chi ci ispira fiducia e chi invece ci fa storcere il naso. Ma in questa pigrizia si nasconde l’errore. Fermarsi all’apparenza significa rimanere prigionieri di una fotografia sfocata, illudersi di avere tutto chiaro quando, in realtà, stiamo solo leggendo il titolo del film senza guardare il resto. San Tommaso d’Aquino ne sapeva qualcosa: diffidente per natura, dubitò persino della resurrezione di Cristo, salvo poi riconoscerla davanti all’evidenza. Se anche i santi inciampano nel dubbio e nel pregiudizio, figuriamoci noi comuni mortali. La saggezza zen, invece, ci mette in guardia con estrema eleganza: l’apparenza è un ostacolo, un velo che occulta la vera natura delle cose. Per i maestri orientali, la via da percorrere è quella che conduce oltre i giudizi affrettati, oltre le simpatie e le antipatie di superficie. La chiamano “la terza via”, il sentiero di chi osserva con attenzione ciò che accade dentro e fuori di sé, accogliendo anche ciò che è scomodo o poco gradevole. Perché solo integrando anche le ombre si cresce davvero. Tradotto in termini più terreni: non mi fermo all’apparenza, ma cerco di intravedere l’essenza, positiva o negativa che sia, senza farmi risucchiare nel vortice del pregiudizio. Continuo a vivere e a lasciar vivere, con un po’ più di consapevolezza e – perché no – con un pizzico di ironia. Perché, in fondo, il mondo è pieno di gente che sembra una cosa e ne è un’altra. E noi? Beh, spesso non siamo da meno. Oggi, purtroppo, la società sembra funzionare esattamente all’opposto. Siamo diventati spettatori compulsivi di un gigantesco teatro delle apparenze. I social network sono la nuova passerella su cui sfiliamo ogni giorno, mostrando la versione patinata di noi stessi: sorrisi impeccabili, vite scintillanti, filtri che cancellano difetti e aggiungono virtù. È la sagra del “vorrei ma non posso”, del “fingo quindi esisto”. Eppure dietro ogni selfie perfetto c’è un retroscena che nessuno mostra: insicurezze, fragilità, momenti no, giornate storte. L’apparenza, in questo caso, diventa un meccanismo di difesa: serve a nascondere le debolezze, a illuderci di avere tutto sotto controllo, a presentarci al mondo come supereroi in tuta da jogging. Ma se ci fermiamo a guardare davvero, ci accorgiamo che quell’apparenza non regge: è una maschera che, prima o poi, cade. La verità è che l’apparire dovrebbe essere lo specchio dell’essere. Eppure, nella realtà, l’immagine che mostriamo è spesso un paravento, una corazza fragile costruita per piacere agli altri o per sopravvivere a un mondo che corre troppo in fretta. Se ci fermassimo più spesso a grattare via quella patina, scopriremmo sorprese inattese. Il collega antipatico potrebbe rivelarsi un amico leale. Il vicino taciturno potrebbe nascondere una saggezza sorprendente. E quella persona che ci sembrava perfetta… potrebbe invece mostrarci lati che ci fanno passare la voglia di idealizzarla. Il punto è che la realtà è sempre più complessa delle nostre prime impressioni. E giudicare qualcuno solo dall’abito che indossa o dal tono con cui parla significa condannarsi a vivere in un mondo di illusioni. Forse, allora, la vera sfida sta nel rallentare. Nell’allenarci ad ascoltare e osservare con pazienza, senza pretendere di capire tutto e subito. È un esercizio difficile, quasi controcorrente, in una società che corre e ci chiede risposte immediate. Ma è anche l’unico modo per scoprire davvero chi ci sta accanto. In fondo, come diceva Oscar Wilde, “solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”. La sua era ironia, certo, ma anche una frecciata profonda: se ci fermiamo a ciò che si vede a occhio nudo, resteremo eterni spettatori di un mondo bidimensionale. Le apparenze ingannano, è vero. Ma chi vuole vivere sul serio impara a guardare oltre, a vedere la persona e non la sua maschera. È un atto di coraggio, di curiosità e, in fondo, di amore. Perché soltanto andando oltre la copertina possiamo leggere davvero il libro della vita.
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